Central Park è un’oasi: 340 ettari d’erba, alberi, silenzio e laghi, a est della Fifth Avenue. È il parco nel quale Woody Allen staccava per un attimo la spina dalla frenesia di una New York “che pulsa i grandiosi motivi di George Gershwin”, lo scenario del bacio tra Ike e Tracey, seduti sulla carrozza a cavalli “sullo sfondo di grandi alberi”, in Manhattan.
Le cartoline di Central Park
Scene analoghe, di romantiche tenerezze, si ripetono continuamente. Un passatempo sempre alla moda, tant’è che, per avere una carrozza nel giorno di San Valentino, bisogna prenotare con settimane di anticipo. Dopotutto, Central Park non è tanto diverso da quello celebrato e osannato da cinema e letteratura.
Per averne una conferma basta alzarsi presto in una fredda mattina d’inverno, quando tutto intorno è ghiaccio e neve, e incamminarsi lungo uno dei sentieri. Un lampione sparge la sua luce lieve fra gli alberi; in primo piano, impronte di scarpe sulla neve appena caduta che fanno pensare alla scena di un delitto. Un’altra immagine celebra invece l’incanto del lago tra alberi carichi di neve, acqua immobile e un uomo e una donna abbracciati su un ponte. Mentre In primavera ed estate Central Park è la cornice di concerti, cinema all’aperto, allenamenti di jogging e passeggiate al sapore di hot-dog.
Central Park non è solo un parco, ma il palcoscenico dell’immaginario collettivo. Ogni angolo, ogni viale o sentiero, è ormai entrato a far parte di quel grande luogo simbolico che letteratura, cinema e televisione hanno creato nel corso degli anni, in una sequenza infinita di storie tenere o terribili, di crimini o romanticherie.
La nascita di Central Park
I padri fondatori del parco non potevano immaginare che un giorno la loro “oasi in mezzo alla giungla urbana” sarebbe diventata così famosa. “Volevamo un posto dove la gente potesse andare facilmente dopo il lavoro, dove potesse starsene tranquilla per qualche ora, guardare, ascoltare, scrollandosi di dosso il caos della città”. Parole semplici, scritte da Frederick Law Olmstead nel 1870, giornalista specializzato in quelle che oggi si chiamano tematiche ambientali. Fu lui, insieme all’architetto Calvert Vaux, suo vecchio amico, a inventare Central Park.
A sostenere e dare visibilità alla “causa” furono due influenti direttori di giornali, Horace Greeley (fondatore ed editore del New-York Tribune) e William Cullen Bryant (a lungo editor del New York Evening Post), e lo scrittore Washington Irving. Proprio a loro, nel 1857, venne affidato dalla Park Commission l’incarico di trasformare radicalmente l’enorme area paludosa, malsana, disseminata di discariche di rifiuti che sorgeva al centro di Manhattan in quello che oggi è uno dei simboli di New York City.
I lavori durarono oltre 16 anni, furono trasportati più di 5 milioni di metri cubi di rocce e terra e piantati almeno 5 milioni di alberi. Niente fu affidato al caso. “Ogni metro di superficie del parco”, avrebbe spiegato Olmstead a opera conclusa, “ogni albero e ogni radura, così come ogni arco, strada o sentiero, è stato collocato seguendo un progetto preciso”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un parco urbano che ha pochi eguali in altre città del mondo. Un universo naturale a misura d’uomo, dove s’alternano boschi e vialetti, laghi e attrezzature per attività fisiche.
Per chi arriva nella Grande Mela per turismo, Central Park resta il modo migliore per scoprire come i newyorkesi passano il loro tempo libero, senza più lo stress e le tensioni della settimana lavorativa. Per lasciarsi andare a una New York che, una volta tanto, rimanda solo tranquillità e relax.