UlisseFest è pronto a partire: la terza edizione della festa del viaggio targata Lonely Planet prenderà avvio venerdì (12 luglio 2019) a Rimini. Incontri, interviste, laboratori e workshop per cercare di rispondere all’interrogativo esistenziale di turisti, viaggiatori e viandanti: perché viaggiamo? Da un paio di mesi alcuni giornalisti, collaboratori del brand, scrittori di viaggio stanno proponendo le loro risposte, a volte poetiche e a volte provocatorie, attraverso il blog ufficiale dell’evento.

Ma perché viaggiamo? Una domanda tanto frequente da suonare un poco noiosa e risposte che sappiamo essere vere ma che rischiano di suonarci terribilmente banali.

Partire per riposarsi, partire per trovare quel che non si trova nello snocciolarsi nei giorni; partire per poter tornare e partire sperando che il ritorno non arrivi mai. Partire per conoscersi o per incontrare un altro che ci stupisca per la sua diversità. Partire per rendersi utili o per fuggire dalla propria responsabilità. Partire per crescere o in cerca di ricordi di un passato lontano. La nostra risposta può persino cambiare con il tempo o a seconda dell’interlocutore, desiderosi di averne una tutta per noi che ci distingua da ogni altro oppure pronti ad accogliere la risposta altrui se temiamo di essere diversi, esclusi e soli. Tanti motivi quanti viaggi, forse solo goffi tentativi di rendere ragionevole un bisogno.

Partire per riposarsi, partire per trovare quel che non si trova nello snocciolarsi nei giorni; partire per poter tornare e partire sperando che il ritorno non arrivi mai.

Il fondatore di Lonely Planet, Tony Wheler, ha appena pubblicato un nuovo libro con lo stesso titolo del festival, che incuriosisce anche per il suo inserirsi nel dibattito sulle conseguenze negative del viaggio osservato in una prospettiva globale. L’idea che si tratti di un’operazione di marketing fiorisce spontanea, anche se appare uno spreco di energie per due nomi, quello della casa editrice e quello del suo fondatore, che hanno contribuito a creare l’immaginario collettivo del viaggio.

Partire per conoscersi o per incontrare un altro che ci stupisca per la sua diversità.

Ma perché viaggiamo, dunque? Una domanda tanto frequente da suonare un poco noiosa e risposte che sappiamo essere vere ma che rischiano di suonarci terribilmente banali. Perché se ci chiediamo perché viaggiamo, per prima cosa si attivano i ricordi: un luogo, una precisa ora del giorno, sensazioni fisiche vivide come se fossimo ancora là, emozioni che ci muovono in direzioni diverse. Perché la risposta all’interrogativo del viaggio sembra nascondersi dietro alle nostre costole e non volerne sapere di uscire piena e convincente come ciascuno di noi la percepisce. Perché la risposta è personale, individuale, intima. Perché, qualunque sia il motivo della partenza e l’approccio all’andare, sapere di preciso perché si viaggi non cambierà la scelta di partire né addomesticherà la spinta a farlo.

Forse sarebbe più curioso sapere perché non tutti viaggiano, perché alcuni di noi pensano che niente sia bello come casa.

Forse sarebbe più curioso sapere perché non tutti viaggiano, perché alcuni di noi pensano che niente sia bello come casa.