Raggiungiamo la nostra meta a notte fonda, trafelati e sfiniti, però entusiasti perché il volo serale è costato quasi niente. Ad accoglierci una combinazione per aprire una porta, poi quella che apre l’armadietto che contiene la chiave del nostro appartamento. Al mattino il buongiorno ce lo dà la macchina del caffè in compagnia delle brioche confezionate del distributore automatico.

Le recensioni dei luoghi più caratteristici sono pronte, abbiamo scaricato l’app dei ristoranti e della metropolitana. Ci sono poco tempo e molte cose da fare, per cui ci muoviamo frenetici, a testa bassa, e borbottiamo se non riusciamo a ingrandire l’itinerario di Google Maps sul nostro smartphone.

Se solo quando mostreremo le nostre immagini agli amici ci accorgeremo del tuareg che passava dietro di noi, vorrà dire che avremo guardato senza vedere e sentito senza ascoltare.

Siamo appena arrivati ma siamo già distratti dal pensiero del volo di ritorno, per il quale domani dovremo ricordarci di stampare la carta d’imbarco. Alla fine del nostro viaggio arriveremo in aeroporto accaldati e, in fila all’imbarco, sbirciando lo smartphone della persona davanti a noi, scopriremo che bastava scaricare un’altra app e avremmo potuto evitare di stampare la carta d’imbarco! Scopriremo di aver sprecato tempo prezioso e, se non saremo riusciti a completare il nostro itinerario, ci diremo che non importa, che abbiamo un motivo per tornare.

Saremo felici di postare le nostre foto sui social, daremo voti, stellette, e ci sentiremo finalmente giudici, una sensazione impagabile. Saremo in grado di consigliare e magari organizzare lo stesso viaggio per i nostri amici, come veri consulenti di viaggio. A casa apriremo la nostra valigia e metteremo i souvenir in bella mostra in attesa della serata con gli amici, invitati per ammirare la nostra enciclopedia di fotografie.

Chissà come reagirebbe Erodoto vedendo gruppi di persone che si muovono ondeggiando in fila indiana da un luogo all’altro delle città.

Chissà come reagirebbe Erodoto vedendo gruppi di persone che si muovono ondeggiando in fila indiana da un luogo all’altro delle città. Lui che per anni, scrutando ogni giorno il mar Egeo, si chiedeva che cosa ci fosse oltre le isole che vedeva in lontananza. La curiosità e la voglia della scoperta gli fecero varcare la frontiera rendendolo il primo grande viaggiatore della storia. Alla fine del suo lungo viaggio, si fermò per tramandare ai posteri il suo percorso di conoscenza. Ancora oggi leggendo Le Storie percepiamo il suo desidero di entrare in contatto con altri popoli, parlare con loro, raccontarne usi, costumi e tradizioni.

Evelyn Waugh, scrittore e viaggiatore britannico del Novecento, nel suo libro Quando viaggiare era un piacere afferma che «aver molto viaggiato, non stare mai fermo in nessun posto, è in un certo senso uno svantaggio», una malattia quasi incurabile, alimentata dalla voglia di essere stupiti ancora una volta. Insomma, niente a che vedere con il viaggio dell’antichità, che era uno strumento per arrivare alla conoscenza, veniva preparato con cura e non finiva al raggiungimento della meta, ma si fissava nella memoria e veniva trasmesso nel tempo attraverso la narrazione, la scrittura, lo studio. Presupponeva uno sforzo organizzativo ed economico, era un lusso riservato ai ricchi.

I bisogni si sono modificati, la meta del nostro viaggio ha perso il significato originario per diventare uno strumento di meritata fuga dalla routine quotidiana, per divertirsi o rilassarsi.

Nel tempo viaggiare è diventato sempre più facile, i mezzi di trasporto, di comunicazione, le migliorate condizioni economiche e sociali hanno determinato un cambiamento epocale, consentendo a milioni di persone di “varcare la frontiera”. I bisogni si sono modificati, la meta del nostro viaggio ha perso il significato originario per diventare uno strumento di meritata fuga dalla routine quotidiana, per divertirsi o rilassarsi.

Per viaggiare non abbiamo più bisogno di guardare l’orizzonte, chiederci da dove veniamo e prepararci molto tempo prima. Tutto è a portata di un click, fagocitiamo e consumiamo le informazioni stretti nei pochi giorni a disposizione e ci dimentichiamo di “consultare l’uomo”. La mancanza di tempo e l’abbondanza di “low” spesso diventano un alibi che ci induce alla rinuncia della scoperta, dell’osservazione, del rapporto con la gente: della meravigliosa sensazione di perderci nel mondo che ci circonda.

La mancanza di tempo e l’abbondanza di “low” diventano alibi per rinunciare alla scoperta, all’osservazione, al rapporto con la gente: alla meravigliosa sensazione di perderci nel mondo che ci circonda.

Se solo quando mostreremo le nostre immagini agli amici ci accorgeremo del tuareg che passava dietro di noi, vorrà dire che avremo guardato senza vedere e sentito senza ascoltare. Avremo raggiunto la meta ma non la conoscenza, che rimane l’essenza del viaggio. Se nella valigia metteremo delle domande oltre ai souvenir, avremo iniziato a sentire e ad ascoltare. L’Erodoto che è in noi comincerà a trasformarci da turista in viaggiatore.